blog - giancristiano desiderio

Vai ai contenuti

Vita, morte e opera di Goffredo Coppola *

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Samnium · 23 Febbraio 2019
Tags: CoppolaGoffredoCanforaDongoGuardiaSanframondi

di Gennaro Malgieri

Il giorno in cui si farà la storia della cultura italiana del Novecento senza pregiudizi, la figura e l’opera di Goffredo Coppola dovranno avere il rilievo che meritano. I tempi cominciano ad essere maturi. Lo dimostra Luciano Canfora con il suo ponderoso volume, intitolato «Il papiro di Dongo» (Adelphi). Il saggio, pregevole e di straordinario interesse non soltanto filologico, narra la vicenda della scoperta, della scomparsa e del ritrovamento di un prezioso papiro greco, fondamentale reperto per la comprensione di una pagina non trascurabile di storia antica a metà del 400 avanti Cristo.

Protagonista di questa storia fu una straordinaria studiosa Medea Norsa, brillante filologa, allieva di Girolamo Vitelli e amica di Coppola, spinta ai margini della ricerca scientifica e della vita universitaria dalla promulgazione delle famigerate leggi razziali.
Accanto alla Norsa, domina la vicenda ed il racconto di Canfora, Goffredo Coppola che riporta il papiro all’attenzione nella tormenta della guerra civile. Una storia di filologia avvincente come un «giallo», ma anche – e soprattutto – il pretesto per proporre, come fa Canfora, al centro di una più complessiva rivisitazione della storia della cultura italiana, la personalità di Coppola, con le sue luci, i suoi meriti, le sue contraddizioni; uno studioso a lungo dimenticato che, al di là di poche citazioni, non ha avuto in questo dopoguerra il posto che meritava. Per Canfora è stato uno dei più grandi filologi del Novecento, ma sul suo oblio hanno pesato le  scelte politiche che lo portarono a Dongo dove pagò ben al di là delle responsabilità che ebbe nella Repubblica Sociale Italiana.

Canfora, pur censurandone il profilo politico, scrive: «Nella rilettura postbellica della guerra civile italiana, Coppola divenne, per i suoi ex camerati, un santino tutto studi e patria, lontano da ogni vero impegno politico, e invece per il tardivo antifascismo dei suoi ex sodali (rimasti per lo più al vertice della cittadella universitaria) egli divenne una non persona. Questo produsse una duplice cancellazione: da parte antifascista la cancellazione dello studioso, da parte neofascista quella della sua imbarazzante allucinante, azione e parola politica. Inaccettabile la cancellazione del suo ruolo politico, che invece fu di prima fila; inaccettabile la cancellazione dello studioso, il cui lascito subì una dilapidazione che questo libro cerca almeno in parte di riconoscere».

E questo secondo aspetto è certamente il più rilevante. Quanto al profilo politico di Coppola occorrerebbe un altro studio e soprattutto un diverso approccio per definirlo. Comunque va dato atto a Canfora di aver tratto dall’oblio un uomo che per quarantasette anni ha vissuto la vita dello studioso tentato dalla politica, non intesa come esercizio del potere, ma incarnazione di un’idea. Se poi quell’idea è stata maneggiata talvolta in maniera impropria sarà bene approfondirlo ma non prima di esserci riconciliati con una personalità di estremo interesse la cui fine tragica impone comunque rispetto, anche perché il ruolo che aveva esercitato di certo non giustificava la fucilazione, né l’esposizione al pubblico ludibrio in piazzale Loreto.
Coppola, nato a Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento, il 21 settembre 1898, riassume in sé la tragedia del Novecento e si propone all’attenzione quale figura emblematica che racchiude nella propria vicenda intellettuale e civile le speranze, le passioni, l’impegno ed il coraggio di una generazione dominata da una certa idea dell’Italia. Un’idea che per Coppola, come per tanti altri, che scoprirono il senso dell’appartenenza alla nazione italiana, e finirono soggiogati da un potente amor di Patria, nelle trincee della Gran Guerra, si esprimeva nella consapevolezza di completare il Risorgimento dando alle masse il diritto di cittadinanza nelle istituzioni politiche e sociali, oltre a farle partecipi di un processo di identificazione con i valori nazionali.

Insomma, Coppola si viene a trovare sulla stessa lunghezza d’onda del pensiero di Enrico Corradini, Alfredo Rocco, Roberto Forges Davanzati, Maurizio Maraviglia, la schiera di nazionalisti che contribuì a trasferire il sentimento della nazione nel più carnale sentimento di classe: dall’incontro, com’è noto, nacque il fascismo del quale Coppola colse le ragioni intime del suo farsi movimento di rinascita dopo la tempestosa vicenda bellica.
Chi conobbe Coppola restò colpito dalla dolcezza del suo carattere, dalla gentilezza dei suoi modi, dalla passione intellettuale che lo animava e dall’amore che portava ai suoi libri: ricercatore di edizioni rare, raccolse nella sua breve vita una biblioteca imponente che donò all’Università di Bologna. Eppure quest’uomo, che ebbe una sola fede politica alla quale si dedicò con lo stesso entusiasmo con cui decifrava gli antichi testi greci, disdegnando cariche e onori quando il regime trionfava, gettò se stesso, interamente, nella grande fornace della guerra civile, testimoniando con il sacrificio della vita la fedeltà ad una scelta nella quale si era totalmente riconosciuto, con lo stoicismo di un console romano. «Morirò con Mussolini», confidò Coppola a un amico bolognese nei primi giorni del 1945, mentre vedeva approssimarsi la fine.
Compiuti gli studi elementari e medi nella terra natale, distinguendosi subito per l’inclinazione verso gli studi classici che lo portò a iscriversi alla facoltà di Lettere dell’Università di Napoli, Coppola nel 1917 fu costretto ad interrompere il corso di laurea. Chiamato alle armi, prese parte alla Grande Guerra in prima linea, come ufficiale di fanteria e venne più volte decorato. Visse con grane partecipazione la disfatta di Caporetto e la vittoria di Vittorio Veneto. Nella trincea si precisò la sua vocazione politica che lo portò ad aderire al grande movimento nazionale e spirituale nel cui seno prese forma il fascismo.

Tornato a Napoli, ebbe la ventura di trovarvi un grande maestro, Alessandro Olivieri, sotto la cui guida si dedicò alla filologia classica e in particolare alla letteratura greca, allo studio del teatro comico antico, alla papirologia. Dopo la laurea, conseguita a Roma, vinse nel 1921 il premio Cantoni bandito dall’Istituto di Studi Superiori e di Perfezionamento e si trasferì a Firenze dove divenne l’allievo prediletto di un altro grande sannita ingiustamente dimenticato, il senatore Girolamo Vitelli (1849-1935) originario di Santa Croce del Sannio, principe della filologia che di Coppola non fu soltanto il mentore, ma l’amico sincero che lo condusse nei primi passi della carriera accademica. Oltre al Vitelli, nel soggiorno fiorentino Coppola ebbe carissimo anche un religioso, padre Ermenegildo Pistelli che contribuì ad indirizzarlo più precisamente verso il fascismo. Nell’ambiente intellettuale fiorentino, Coppola s’impose per lo stile austero della sua vita, per la dedizione agli studi, per la generosità nell’amicizia.

L’edizione commentata delle commedie di Menandro gli valse nel 1927 la libera docenza in Letteratura greca e nel 1931 venne chiamato a insegnare la stessa disciplina nell’Università di Cagliari quale vincitore di cattedra a soli trentatrè anni. Nel 1932 fu trasferito nel prestigioso ateneo di Bologna dove nel 1940 passò alla cattedra di Letteratura latina come successore di due insigni docenti. Puntoni e Gandino. In questi anni compì studi di perfezionamento in Germania dove assimilò molto bene la lingua e la cultura tedesca. Nel 1943 i presidi delle facoltà bolognesi lo elessero all’unanimità rettore Magnifico ed anche quelli che erano politicamente lontano da lui lo votarono perché ne riconoscevano il valore culturale e la grande umanità.

Così lo ricordò anni dopo la sua morte Giorgio Pini, amico bolognese di Coppola, a lungo collaboratore di Mussolini come caporedattore de «Il Popolo d’Italia» e sottosegretario agli Interni della Rsi: «L’interiore severità era in lui addolcita dalla modestia dei modi, dalla cordialità del tratto umano, dalla sua naturale semplicità nei rapporti con gli allievi e gli amici, che aveva numerosi tra i colleghi, fra giornalisti e anche tipografi dei giornali e riviste cui collaborava. Dalla sfera degli studi, per pratica coerenza con gli ideali del mondo classico, era passato a una intima partecipazione alla sfera politica che a quegli ideali corrispondeva non come attivista mirante a una carriera, ma come partecipe a una fede, a una concezione storica e sociale. In nome di questa concezione puramente servita, fuori d’ogni funzione gerarchica, fu vivace nella polemica contro avversari politici, non già in sede di competizione retorica, ma utilizzando l’arma superiore della sua formidabile cultura. Una volta bollò d’incoerenza l’antifascista Omodeo, con tali argomenti da indurre il professore napoletano a dimettersi dal Partito Fascista cui si era per opportunismo iscritto. Né Coppola aveva sbagliato bersaglio, anzi aveva in anticipo individuato in Omodeo l’uomo che, dopo l’invasione nemica, conferì lauree d’onore ai generali degli eserciti stranieri invasori: ciò che Coppola non fece, come Rettore dell’Università di Bologna, verso i generali dell’esercito tedesco alleato, pur essendo loro lealmente amico».

Coppola fu tutt’altro che fascista acritico. Non esitò, ad esempio, ad opporsi ai modi e agli atteggiamenti dell’onnipotente segretario del Pnf, Achille Starace. Opposizione che gli fruttò una condanna al confino scontata la quale non soltanto non divenne antifascista, ma chiese a Mussolini di riammetterlo nei ranghi del Partito.
Fra i docenti universitari, Coppola fu forse l’unico volontario in guerra. Tra il 1939 e il 1943 alternò, fedele alla sua concezione della vita come milizia civile, l’insegnamento universitario al combattimento su difficili fronti. Nel 1941 rinunciò alla cattedra di Letteratura greca offertagli dall’Università di Roma e partì con l’Armir per la campagna di Russia. Il 16 giugno 1943 venne rimpatriato perché molto malato. Dopo il 25 luglio fu arrestato con la risibile accusa di aver svolto propaganda fascista: e chi non l’aveva svolta? Coppola sicuramente meno degli altri. Negli anni Venti e Trenta aveva affidato il suo pensiero a scritti profondi, oltre che a quelli propriamente filologici, apparsi su riviste come «Gerarchia», «Civiltà fascista» e sui quotidiani «Il Popolo d’Italia», «Il Resto del Carlino», «il Corriere della Sera». Cariche politiche non ne cercò e non le volle. Per puro spirito di servizio accettò per un certo tempo la poco prestigiosa vicesegretaria della federazione fascista di Bologna, più per fare un piacere all’amico Leandro Arpinati che per intima convinzione.

Come filologo Coppola produsse all’incirca un centinaio di saggi di filologia classica nei quali cercò non soltanto di legare l’Italia alle sue radici, ma di vivificare il mito di Roma vedendo anche nell’espansionismo fascista lo sbocco di una vocazione imperiale storicamente compressa. Della sua produzione scientifica restano, in particolare, la biografia di Augusto (1941), da qualcuno semplicemente letta come omaggio al «ducismo», e la «Vita di Epicuro» (1942), profilo fin troppo partecipe di un maestro che Coppola avvertiva particolarmente vicino alla propria sensibilità.
Non sarà inutile osservare come per Coppola il rapporto tra etica ed economia nell’impero antico riproduceva le stesse conseguenze nell’Italia fascista. Egli polemizzava con gli storici e i teorici del liberalismo che ritenevano il benessere materiale, oltre all’ordinamento giuridico e culturale, la caratteristica dell’Impero romano. Per lui, come per il fascismo, l’impero rappresentava la realizzazione dell’unità del mondo antico, la pacificazione, la protezione contro la barbarie esterna e la dissoluzione interna. In un articolo dedicato alla Mostra Augustea della Romanità, apparso nel 1937 su «Il Popolo d’Italia», Coppola sosteneva che la civiltà romana doveva essere intesa come conquista dello spirito, fondato sulle legioni vittoriose e non su l’usura «boxistica».
Dopo 45 giorni di detenzione, il 9 settembre, venne rimesso in libertà. Aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Il 15 ottobre assunse la direzione del vecchio «Assalto», la rivista della federazione bolognese. E alla fine dello stesso mese fu ricevuto per la prima volta da Mussolini alla Rocca delle Caminate. In ragione del suo ufficio, la presidenza dell’Istituto nazionale di cultura fascista e della connessa direzione di «Civiltà fascista», Coppola tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945 ebbe frequenti incontri con Mussolini e un intenso scambio epistolare. Fu certamente questo il momento più laborioso della sua attività politica culminata, all’inizio del 1945, nella nomina a ministro dello Stato della Rsi. E fu anche il periodo in cui intervenne maggiormente con articoli giornalistici sulle questioni del momento. In particolare Coppola si distinse per un’accentuata attività in favore della costituzione di un «fronte nazionale» che promuovesse la riconciliazione tra gli italiani.

La fine della Rsi venne vissuta da Coppola quasi con serenità si potrebbe dire. Attese al suo lavoro fino all’ultimo. Partecipò a riunioni politiche come aveva sempre fatto. Continuò a studiare e a scrivere. La sera del 25 aprile 1945, volontariamente perché niente lo obbligava, decise di partire con Mussolini e con i gerarchi verso la Valtellina: l’ultimo inutile viaggio dal quale tutti sapevano che non sarebbero più tornati. La colonna di automezzi giunse a Como nelle prime ore della notte. Poi, il 27 mattina, insieme con i militari tedeschi che nel frattempo l’avevano raggiunta, la colonna proseguì. Il resto è storia. I partigiani la fermarono, Mussolini venne arrestato, insieme con i gerarchi che lo accompagnavano. Dongo fu il teatro della fine di questi ultimi.
Alle 17.48 del 28 aprile, sulla piazza di Dongo il colonnello Valerio, alias Walter Audisio, comunista e plenipotenziario del Cln, ordinò, senza neppure la parvenza di un processo, la fucilazione dei gerarchi. Il carnefice che guidò la mattanza, due anni dopo raccontò all’Unità: «Furono allineati con la faccia rivolta al lago e alle loro spalle feci schierare il plotone di esecuzione alla prescritta distanza. Dopo che il capo del servizio d’ordine ebbe intimato l’attenti ai giustiziandi, feci ordinare il dietrofront in modo che essi potessero essere visti in faccia dall’ecclesiastico che aveva chiesto di assisterli con i conforti della religione. Terminato il breve ufficio, venne di nuovo ordinato l’attenti e il dietrofront. Nelle loro schiene i giustizieri fecero fuoco simultaneamente». Per questo nobile gesto, Audisio venne ricompensato da Togliatti con un seggio parlamentare. Coppola pagò la sua fedeltà al fascismo con il prezzo più caro. Poi, quel suo corpo privo di vita, ammassato insieme con gli altri corpi su un carro come carne dopo la macellazione, fu portato a Milano ed esposto a piazzale Loreto. La ferocia comunista regalò all’empietà il più triste e disgustoso spettacolo mai messo in scena. Lo stesso Coppola avrebbe faticato nel cercare simili sconcezze negli arcaici costumi di europei lontani dall’imbarbarimento totale.
Finalmente, nel luglio 1951 ci fu chi, non accecato da spirito di fazione, volle dare al corpo di Goffredo Coppola onorata sepoltura. Fu l’Università di Bologna a ricordarsi del suo rettore e a provvedere all’esumazione della salma individuata con grandi difficoltà: era la salma n. 30 seppellita nel cimitero del Musocco. Alla sua ricognizione provvidero, pietosamente e con encomiabile dedizione, tre rettori, predecessori e successori di Coppola, i professori Chigi, Guerrini e Battaglia, assistiti dal fratello dell’estinto. Il 28 luglio 1951, i poveri resti di Coppola furono tumulati nella Certosa del Carducci a Bologna, in un loculo sotterraneo del cortile del Cinquecento.




*Il brano qui anticipato è parte del profilo di Goffredo Coppola ed è tratto dal volume di prossima pubblicazione di Gennaro Malgieri Voci dalla Valle Telesina. È un contributo alla conoscenza di uno dei più grandi filologi del Novecento, nato a Guardia Sanframondi e assassinato a Dongo.





Blog di critica, storia e letteratura di Giancristiano Desiderio.
Questo sito non è una testata giornalistica: è un blog. Il blog non è un prodotto editoriale sottoposto alla disciplina di cui all’art. 1, comma III della L. n. 62 del 7.03.2001, quindi ogni singolo blogger è responsabile di quanto scrive.
Torna ai contenuti